Nelle ultime settimane a Roma la situazione rifiuti è andata fuori controllo, con strade ricolme di spazzatura e cittadini imbestialiti; nel frattempo la sindaca tentava di addossarne le responsabilità principali alla Regione Lazio, che con un’ordinanza del 5 luglio è intervenuta a supporto visto il conclamato stato di emergenza e il rischio sanitario che si andava configurando; ma perché Roma versa in queste condizioni? e, soprattutto, a chi vanno imputate le responsabilità amministrative e politiche?

Raccogliendo un po’ di documentazione e cercando di tirare le fila della questione provo a fornirvi un quadro riassuntivo, che spero possa esservi utile per poter rispondere a queste domande e permettervi di giudicare quello che sta accadendo; prima, però, 2 premesse necessarie:

GLI IMPIANTI
Il ciclo dei rifiuti si compone di 3 fasi principali: la raccolta, il trattamento e lo smaltimento; in queste settimane a Roma la parte che è andata in grossa sofferenza è stata quella del trattamento, a causa soprattutto dello stato di manutenzione dei due impianti denominati “Malagrotta 1” e “Malagrotta 2” (da non confondersi con l’omonima discarica di cui parleremo più avanti), che si è aggiunto alla problematica dell’inutilizzo del TMB (impianto di Trattamento Meccanico Biologico) di via Salaria in seguito all’incendio di dicembre.

Roma dunque sconta una carenza di impianti, che già in condizioni normali non riescono a soddisfare il fabbisogno della città: ma chi dovrebbe progettare e realizzare tali impianti? In molti in questo periodo hanno addossato queste responsabilità alla Regione e alla mancata approvazione del Piano Rifiuti; premesso che il Piano sarà approvato a breve e che comunque nel frattempo è vigente quello precedente, va ribadito che il piano NON toglie i rifiuti dalle strade né decreta la realizzazione di nuovi impianti, ma definisce le politiche generali di gestione dei rifiuti e il fabbisogno delle varie aree, determinando di conseguenza i parametri per gli impianti di trattamento e smaltimento.

Spetta poi alla Città Metropolitana (leggi Virginia Raggi) individuare le cosiddette “aree bianche”, in cui aziende pubbliche, come l’AMA, o private possono proporre la realizzazione di impianti che devono poi essere AUTORIZZATI dalla Regione; sapete quanti impianti sono stati proposti e progettati dall’amministrazione Raggi in 3 anni? Indovinato: zero! Primo problema e prima responsabilità.

In merito agli impianti, bisogna ricordare che i TMB, le discariche e gli inceneritori servono per trattare e smaltire i rifiuti indifferenziati, che Roma produce in quantità smisurata (parliamo di 3.000 tonnellate al giorno!) e che durante l’amministrazione Marino si tentò di ridurre drasticamente soprattutto spingendo sulla differenziata, che passò in 2 anni dal 30,5% al 41,5, con un aumento dell’11% (tanto per capirci: nei 2 anni di amministrazione Raggi l’aumento è stato del 3,1 appena: secondo problema e seconda responsabilità! – i dati sono stati verificati e commentati dall’Agenzia AGI, come potete leggere qui). Questi risultati si ottennero anche con l’estensione del “porta a porta” a circa un milione di cittadini e con il passaggio dalla differenziata a tre frazioni a quella a cinque, aggiungendo cioè la raccolta specifica di vetro e umido: un processo che molti criticarono come un’inutile complicazione ma che invece come detto ha portato importanti risultati.

LE PRECEDENTI AMMINISTRAZIONI
A proposito di discariche: buona parte della responsabilità dell’attuale situazione viene addossata alla chiusura della discarica di Malagrotta nel settembre del 2013, che sarebbe avvenuta in maniera avventata e senza preparare una vera alternativa. A questo proposito andrebbe ricordato che per quella discarica avevamo una procedura di infrazione da parte dell’Europa che da anni ne imponeva la chiusura e a causa della quale il Comune di Roma NON poteva partecipare a bandi europei, con conseguente notevole danno economico.

In quanto all’alternativa, è chiaro che impianti di questo tipo non si realizzano in pochi mesi, ma “nel 2015 Ama aveva un piano industriale serio con dentro, lungo i 15 anni di affidamento del contratto di servizio, gli investimenti per realizzare gli impianti. C’era la progettazione di alcuni impianti già avviata, e addirittura per un primo impianto di compostaggio era già stato avviato l’iter autorizzativo. Nel mentre erano state fatte tutte le gare (gare pubbliche) per gestire il periodo di transizione, conferendo ad altri impianti, anche all’estero.
Contro tutto questo i grillini si sono prima scagliati dall’opposizione cavalcando qualunque protesta, poi una volta al governo della città hanno bloccato tutti i procedimenti in corso e poi smontato tutto: Ama, il piano industriale, i progetti in corso, e non sono nemmeno riusciti a rifare le gare per gestire la perdurante fase di transizione. (…)
Un applauso al loro furore ideologico a fini esclusivamente propagandistici che li ha portati a scoprire oggi che bisogna fare esattamente quello che si erano ritrovati tra le mani già avviato, ed hanno distrutto” (da un post su FB di Estella Marino del 9 luglio).
Terzo problema e terza responsabilità!

Anche l’ex-sindaco Marino, rispondendo ad un fazioso e impreciso articolo di Travaglio, si è espresso recentemente in merito a questi impianti, già progettati ma poi annullati da Virginia Raggi e i suoi: “Ad esempio, acquistai un nuovo tritovagliatore. Venne definito dai media “il giocattolo di Marino” e l’opposizione del M5S affermò che non lo avrebbe utilizzato. Oggi è a Ostia ed è utilizzato al massimo regime per la crisi in atto (senza di esso ci sarebbero ogni giorno altre 300 tonnellate abbandonate sul suolo di Roma). Ma soprattutto feci approvare la realizzazione di nuovi Ecodistretti iniziando con un biodigestore per la produzione di gas dai rifiuti umidi (come i rifiuti alimentari) che a Roma ammontano a quasi 500.000 tonnellate/anno. Con essi si sarebbe trasformato un problema in ricchezza”; qualche giorno prima aveva già accennato alla “frustrazione di vedere cancellato il piano e gli investimenti per una serie di impianti che stabilimmo nel 2014-2015 e che, se non fossero stati cancellati oggi utilizzerebbero una parte significativa delle 500.000 tonnellate/anno di rifiuti umidi per produrre gas. Quegli impianti, chiamati biodigestori, avrebbero trasformato i rifiuti in ricchezza. Tra l’altro non si tratta di un’idea originale ma di una tecnologia utilizzata in circa 80 paesi del mondo, dall’Asia, all’Europa, agli Stati Uniti. Ad esempio solo la California ha 30 impianti di questo tipo, lo Stato di New York 13, e gli Stati Uniti nel loro insieme trasformano in biogas oltre 10.000 tonnellate/anno di rifiuti umidi.”

GLI IMPIANTI DI STOCCAGGIO PROVVISORIO
C’è un’altra questione di un qualche interesse, sollevata dal giornalista Antonio Maria Mira sull’Avvenire il 5 luglio: “Roma non solo non ha impianti per la gestione ordinaria dei rifiuti, ma neanche per affrontare le emergenze, come quella attuale. Sono i siti di stoccaggio provvisorio, impianti banali, vasche di cemento o capannoni col fondo impermeabilizzato. Ogni città italiana ne ha almeno uno da utilizzare quando c’è un guasto a un impianto o quando si ferma per manutenzione. Proprio come sta accadendo a Roma, col TMB di Malagrotta che lavora 500 tonnellate in meno. In questi siti temporanei vengono portati i rifiuti raccolti dalle strade, e devono operare finché l’impianto non viene riparato e si torna alla normalità. Ma a Roma non ce n’è neanche uno. E sarebbero preziosissimi. (…)

Ancora una volta Roma sconta i ritardi ed è in mano alle decisioni degli altri. E a lungo, visto che non ha impianti, che vanno progettati e costruiti. Per un termovalorizzatore ci vogliono 7 anni, per un impianto di compostaggio 3 anni, per una discarica 6 mesi. Troppo per l’emergenza in atto. Ma in pochi giorni si potrebbero almeno realizzare i siti di stoccaggio temporaneo. E togliere così i rifiuti dalle strade, scongiurare rischi sanitari, e affrontare con tranquillità lo stop di Colleferro. Ma nessuno ne parla.”
Quarto problema e quarta responsabilità della sindaca Raggi!

L’ORDINANZA DELLA REGIONE
Pochi giorni fa, dunque, la Regione Lazio ha emanato un’ordinanza urgente, valida fino al 30 settembre, che interviene nei confronti degli impianti di trattamento e smaltimento di tutto il Lazio (massimizzando la ricezione dei rifiuti della capitale) ma soprattutto di AMA, affinché attraverso delle operazioni straordinarie rigidamente calendarizzate affronti e risolva lo stato emergenziale: entro 48 ore pulizia delle aree in prossimità di siti sensibili, entro 7 giorni raccolta dei rifiuti in strada e collocamento di 300 nuovi cassonetti, garantire la raccolta anche nei giorni festivi, ecc. (se volete potete leggere il testo integrale dell’Ordinanza qui).

L’osservazione che in molti hanno fatto, spesso in modo strumentale, è stata: perché la Regione, se poteva, non è intervenuta prima? Bisogna tener presente che il D. Lgs. 152/2006 prescrive che le Regioni possano intervenire in materia del ciclo di rifiuti nelle competenze che sarebbero dei comuni solo a fronte di situazioni eccezionali e di emergenza, ma ancora a metà giugno l’amministrazione Raggi dichiarava che a Roma non esisteva un’emergenza rifiuti! solo il 28 giugno l’AMA ha comunicato alla Regione Lazio con una nota ufficiale che alcuni fattori critici (di cui abbiamo parlato precedentemente) necessitavano di provvedimenti urgenti, mentre il 1° luglio una nota dell’Ordine dei medici di Roma segnalava il serio rischio per la salute derivante dalla stato dei rifiuti non raccolti in città. Dunque la Regione è potuta intervenire solo successivamente, e lo ha fatto con rapidità e risolutezza. Vedremo quali effetti avrà l’ordinanza, che comunque ha già portato ad un miglioramento della situazione per le strade di Roma.

L’AMA
Un’ultima questione: l’ordinanza della Regione impone anche che AMA approvi a breve i bilanci 2018 e 2017 (sì, avete letto bene: si deve ancora approvare il bilancio di DUE ANNI FA!), sui quali è in corso una partita che sta lacerando l’amministrazione capitolina e che ha già portato tra l’altro alle dimissioni a febbraio dell’ex-assessora Montanari e, recentemente, del generale Silvio Monti, che solo un mese fa la sindaca aveva messo a dirigere il Dipartimento Tutela ambiente del Campidoglio.
L’AMA è una società allo sbando: basti pensare, sono dati ufficiali, che solo il 58% dei mezzi è operativo, mentre la qualità del servizio offerto, a fronte di una tariffa tra le più alte d’Italia, è assolutamente inadeguato e sotto gli occhi di tutti.

Tutto questo nasce con l’amministrazione Raggi? Lo ripeto: no. Ma la sindaca amministra Roma da 3 anni, durante i quali è di tutta evidenza che non c’è stata alcuna capacità non solo di programmare ma nemmeno di gestire la municipalizzata e più in generale la situazione rifiuti. Roma è senza assessore ai rifiuti da ormai 6 mesi, la sindaca ha cambiato i vertici AMA non si sa più quante volte e, come visto, si deve ancora approvare il bilancio di 2 anni fa.

Insomma, possiamo concludere con le parole dell’assessore Valeriani: “In 3 anni Roma non ha né progettato né realizzato un solo impianto, l’Ama è allo sbando, non c’è un Assessore ai rifiuti, non c’è una strategia per uscire dall’emergenza. (…) L’unica ricetta sperimentata è portare in giro per l’Italia e l’Europa i rifiuti con dei costi pazzeschi che pagano i romani in tariffa. Noi siamo pazienti, destiniamo risorse finanziarie e strumenti di Legge alla gestione dei comuni. C’è chi ne fa buon uso e chi no, prigioniero delle proprie paure, delle proprie incapacità e della propria arroganza. Per governare bene ci vuole coraggio, amore, competenza e pure tanta umiltà.

Foto da Il Post

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